Nutrition Foundation of Italy
La Nutrition Foundation of Italy (NFI): fondazione scientifica o lobby finanziata dalle aziende alimentari?
Promuovere la salute nella popolazione generale significa dare informazioni corrette. I conflitti di interesse minano una informazione oggettiva e veritiera favoriscono obesità, diabete e altre gravi malattie. Le aziende che vendono cibo o bevande dovrebbero rimanere fuori dal contesto scientifico. Gli “scienziati” o “opinion leader” dovrebbero essere obbligati per legge a rivelare se hanno ricevuto soldi o altri benefici non solo da industrie portatrici di interesse in ambito sanitario ma anche da industrie alimentari (bevande e cibo).
Dobbiamo imparare dalla storia e non dimenticare. Un tempo l’industria del tabacco per confondere le acque in ambito scientifico e continuare a vendere le sigarette aveva creato il Council for Research Group, l’industria dello zucchero a sua volta ha influenzato il National Institute of Dental Research per sviare gli studi sulla relazione tra zucchero bianco e carie. Per oltre 50 anni hanno annacquato, distorto e manipolato la verità causando sofferenza e morte.
La Nutrition Foundation of Italy (come la British Nutrition Foundation o altre fondazioni di nutrizione europee finanziate dall’industria alimentare) promuovono gli interessi non di un solo prodotto/industria ma di diverse industrie alimentari nazionali e internazionali. Bevande alcoliche, “soft drinks” (bevande gasate zuccherate), industria dolciaria, industria lattiero-casearia, industria della carne…ecc ecc.
Le riviste scientifiche che pubblicano gli articoli promossi da queste fondazioni scientifiche (Nutrition Foundations) dovrebbero obbligare a dichiarare (negli articoli stessi) i conflitti di interesse di tutti gli autori. Purtroppo questo non sempre avviene.
La scienza deve essere indipendente da interessi economici. Quando è sovvenzionata dall’industria diventa pubblicità.
By permission del Fatto Alimentare ©
Nutrition Foundation of Italy: fondazione scientifica o lobby finanziata dalle aziende? Dubbi su certe posizioni a proposito di alcol, zucchero e olio di palma. La replica di NFI
Nutrition Foundation of Italy (NFI) è un’organizzazione italiana no profit che fa da trait d’union tra “gli organi governativi, l’università e l’industria per contribuire allo sviluppo della ricerca scientifica, allo scambio di informazioni nel campo dell’alimentazione ed alla promozione di ricerche interdisciplinari”… La mission di NFI prevede un contributo “alla corretta informazione ed educazione alimentare dei consumatori, degli opinion-makers (es. media) e dei ricercatori/operatori in campo nutrizionale e sanitario”.
Per questo motivo spesso i lavori e le opinioni di NFI vengono ripresi dai quotidiani nazionali e accreditate come una fonte autorevole. La fondazione in 40 anni di attività ha prodotto diverse monografie, studi scientifici e ha organizzato interessanti convegni come quello di Stresa nel 2013 sull’indice/carico glucidico, che ha visto la partecipazione di importanti esperti mondiali tra cui D. Jenkins e W. Willet. Questa però è solo una parte dell’attività, il lato meno conosciuto ma altrettanto importante non viene mai raccontato.
In tutti i paesi al mondo il passaggio da un’alimentazione tradizionale a base di cibi semplici per lo più di origine vegetale a una ricca di prodotti preconfezionati e raffinati è associato a un incremento di malattie come obesità, diabete, carie oltre e problemi cardiovascolari. Ad esempio in Cina nel giro di pochi anni con il cambiamento dell’alimentazione vi è stata una esplosione dei casi di obesità e diabete. L’industria alimentare gioca un ruolo cruciale in questa transizione per la pressante proposta di alimenti ad alta densità energetica e molto attraenti, ricchi di zuccheri, grassi e sale.
Vista la correlazione tra penetrazione di questi prodotti e crescita dell’obesità e del diabete nei paesi sviluppati, le autorità sanitarie, in virtù del principio di precauzione dovrebbero informare i cittadini su cosa sia meglio bere o mangiare per preservare la salute e limitare queste malattie. Basterebbe consigliare di bere acqua al posto di bevande zuccherate, succhi di frutta e vino per contrastare in modo efficace molte delle malattie legate alla nutrizione. Purtroppo le campagne istituzionali di educazione alimentare sono poco diffuse, e la presenza continua di esperti e nutrizionisti in TV, alla radio a fianco di articoli su riviste o libri non aiuta molto. I consumatori vengono inondati ogni giorno da una pletora di informazioni che confondono le idee e rendono spesso inefficaci i messaggi più semplici. Ad esempio se il messaggio chiaro e semplice “Attenti alle bevande zuccherate”, viene affiancato da altri messaggi del tipo “Attenzione ai carboidrati”, “Attenzione al latte e latticini… alla carne, al glutine, alle merendine …” il messaggio iniziale che invita a “bere solo acqua” si perde diluito in una marea di slogan che disorientano e distraggono. Si viene a creare una situazione in cui le persone perdono i punti di riferimento (troppe informazioni = nessuna informazione) e l’industria alimentare può continuare indisturbata a proporre cibi sempre più irresistibili con un marketing aggressivo (1).
Dopo questa premessa, per capire la politica alimentare di una nazione bisogna focalizzare l’attenzione sul ruolo che hanno nutrizionisti ed esperti che fanno parte di istituzioni ministeriali, come il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare alle dirette dipendenze del Ministero della salute, oppure di istituzioni pubbliche come il Crea – Alimenti e Nutrizione alle dirette dipendenze del Ministero delle politiche agricole. In questi ambiti si definiscono le campagne da portare avanti a livello nazionale. È quindi lecito ipotizzare che la presenza di esperti e nutrizionisti con evidenti conflitti di interesse in quanto collaboratori di aziende alimentari, possa condizionare l’impostazione e le decisioni strategiche, per esempio su questioni come l’olio di palma o lo zucchero. A volte la scelta “politica” può essere anche quella di non parlarne e quindi di non porre il problema, come è stato fatto su questi due argomenti. Un altro modo per portare avanti interessi aziendali camuffati da pareri scientifici è quello di finanziare direttamente o indirettamente fondazioni non profit, società scientifiche, progetti di ricerca, professori e opinion-leader che operano nel campo della nutrizione e dietetica tenendo il più possibile nascosto lo sponsor.
Il modello scelto negli Stati Uniti e in altri paesi europei da una parte dell’industria alimentare per promuovere e mantenere il consumo di alimenti ricchi di zuccheri, sale e grassi (junk food), è simile a quello dell’industria del tabacco, che ha manipolato l’opinione pubblica e la comunità scientifica per oltre 50 anni negando la nocività del fumo. L’industria dello zucchero bianco ha pagato 3 scienziati di Harvard negli anni ’60 per una pubblicazione su un’importante rivista medica che scagiona la polverina bianca come causa di malattie cardiovascolari e ha condizionato la ricerca (del National Institute of Dental Research) per distrarre l’attenzione dallo zucchero come principale causa di carie. L’operazione è riuscita talmente bene che a distanza di circa 50 anni medici e nutrizionisti dimenticano di dire che il modo più semplice per prevenire la carie nei bambini è ridurre il consumo di caramelle, dolci, merendine, soft drink, soprattutto fuori pasto.
In Italia la situazione è confusa, perché il conflitto di interessi è molto diffuso nell’ambito alimentare ma nessuno ne parla volentieri e si tende a nasconderlo il più possibile. Un anno fa Coca-Cola ha diffuso i nomi delle società scientifiche, di nutrizionisti e professionisti che hanno ricevuto donazioni negli ultimi anni. Il Fatto Alimentare ne ha pubblicato l’elenco. Nella lista mancavano però i nomi di persone che pur avendo ricevuto elargizioni non hanno autorizzato la diffusione del loro nome. Nella lista potrebbero esserci nutrizionisti e/o professori universitari, anche famosi, che fanno divulgazione oppure sono consulenti di commissioni governative e grandi aziende del settore dolciario. Si tratta di personaggi che pur avendo ricevuto soldi dalla Coca-Cola non dichiarano il conflitto d’interesse.
Una delle fondazioni che ha ricevuto dalla Coca-Cola 30 mila euro per sei anni (oltre 180 mila euro) è la Nutrition Foundation of Italy (NFI) analoga dell’inglese British Nutrition Foundation (BNF). La differenza tra la fondazione inglese è quella italiana è che la prima da diversi anni pubblica nel sito i nomi delle industrie finanziatrici, mentre la seconda non riporta la lista degli sponsor, come faceva diversi anni fa. Ringraziamo il presidente di NFI Andrea Poli che ci ha comunicato l’elenco delle 17 industrie sostenitrici. Ogni impresa versa circa 30 mila euro, per un totale annuo che si avvicina a 450-500 mila euro. La lista comprende: Barilla, Beneo, Big del gruppo Lactalis Italia, Bolton Alimentari, Branca Distillerie, Davide Campari, Coca-Cola, Danone, Soremartec del gruppo Ferrero, Citterio, Granarolo, Heineken, Indena, Mondelez Italia Services, Montenegro, Nestlé Italia, Parmalat. Nella lista (e anche nel budget annuale) mancano le aziende che pagano NFI per l’attività di consulenza o per ricerche specifiche o documenti di consenso o position paper su argomenti che interessano. Considerando anche questo aspetto è lecito ipotizzare un fatturato complessivo annuale superiore ai 500 mila euro (* al riguardo leggere nota di replica di NFI).
Un particolare che colpisce sfogliando il sito di NFI è il gran numero di studi citati a favore dell’uso di bevande alcoliche. Nel 2013 NFI ha pubblicato un documento di consenso che concludeva con una frase ambigua :“Moderation in drinking and development of an associate lifestyle culture should be fostered” (La moderazione nel bere e lo sviluppo di una cultura associata a questo stile di vita dovrebbero essere promossi). Questa frase è stata interpretata come un invito ad un moderato consumo di alcol e per questo criticata da un gruppo di esperti sui problemi correlati all’alcol. In una pubblicazione più recente (De Poli e Visioli) si afferma che non ci sono evidenze per consigliare una completa astinenza da bevande alcoliche in bevitori moderati, che la tassazione di bevande alcoliche non sembra una soluzione efficace (2) e infine “it appears convenient to educate consumers and health professionals on the appropriate use of alcoholic beverages, within the framework of a healthy lifestyle” (Sembra conveniente educare i consumatori e gli operatori sanitari sull’uso appropriato delle bevande alcoliche, all’interno di uno stile di vita sano) (3). Forse non è sbagliato pensare che queste posizioni siano “influenzate” dalla presenza tra i soci finanziatori di NFI di quattro grandi aziende produttrici di bevande alcoliche.
NFI ha pubblicato pochi mesi fa una documento sul problema dell’olio di palma utilizzato fino a due anni fa da aziende importanti come Ferrero, Barilla, Nestlé, Mondelez… Nella sostanza si dice che l’olio tropicale ha un rischio simile a quello di altri grassi saturi vegetali (ad esempio il burro), che il consumo in Italia è contenuto e quindi non rappresenta un problema prioritario nell’ambito della nutrizione (4). Per quanto riguarda l’impatto ambientale (deforestazione) e il rischio tossicologico legato alla formazione di sostanze cancerogene durante il processo di lavorazione, si è scelto di non parlarne. Forse non è sbagliato pensare che queste posizioni siano “influenzate” dalla presenza tra i soci finanziatori di NFI di grandi aziende come Barilla (Mulino Bianco), Ferrero (Nutella e Kinder), Nestlé e altri marchi, molti dei quali usavano fino a un anno fa olio di palma nei loro prodotti.
Un altro punto critico nel sito NFI è l’argomento “zucchero o zuccheri semplici aggiunti”. L’OMS, negli ultimi anni, basandosi sulla letteratura scientifica punta sempre di più il dito contro gli zuccheri aggiunti nella dieta, sia per contrastare il sovrappeso/obesità, sia per prevenire la carie dentaria (5). NFI ha raccolto nel sito diverse pubblicazioni che tendono a minimizzare il ruolo degli zuccheri semplici (aggiunti nella dieta) sulla salute. La stessa NFI ha condotto uno studio (finanziato dalla Coca-Cola) che evidenzia come negli adulti italiani il consumo di zuccheri semplici è nel complesso contenuto, e non influenza il peso. Il presidente della NFI nel 2014 ha pubblicato un’intervista ad un professore anglosassone dove si afferma la non esistenza di una relazione diretta tra zucchero o fruttosio e obesità. Quanto al problema del rapporto zucchero/i e carie: il sito praticamente non ne fa menzione. Forse non è sbagliato pensare che queste posizioni siano da collegare alla presenza tra i soci finanziatori di NFI marchi colossi alimentari come Barilla (Mulino Bianco), Ferrero (Nutella e Kinder), Nestlé e altre aziende che usano molti zuccheri nei loro prodotti.
I contributi alla NFI da parte delle aziende vengono definiti “incondizionati”, si tratta di una formula standard, per indicare che gli oltre 500 mila euro l’anno ricevuti dai finanziatori non condizionano l’attività e le pubblicazioni. Ma l’unico modo per essere indipendenti è di rifiutare finanziamenti da chi vende prodotti non salutari, ed essere disposti a dichiarare pubblicamente i conflitti di interesse (cosa che i nutrizionisti in genere in Italia non fanno). Oltre a ciò bisogna aggiungere che quando NFI viene intervistata su tematiche alimentari, non viene mai indicato l’evidente conflitto di interessi. La fondazione è considerata da molti giornalisti e anche dai lettori una fonte scientifica autorevole e indipendente.
Dobbiamo sempre ricordare che l’industria alimentare con la promozione di alimenti ricchi di zuccheri, grassi, sale e alcol è una delle cause più importanti dell’incremento di malattie come l’obesità, il diabete, la carie dentaria e l’abuso di alcol… Chi riceve soldi dall’industria alimentare è bene sia allontanato da commissioni governative che redigono linee guida, ma per far questo bisogna anzitutto obbligare a rivelare sempre i conflitti di interesse anche quando si rilasciano semplici interviste alla TV, radio o nel più piccolo giornale locale.
L’autore dichiara di non avere alcun conflitto di interessi.
Note:
- James W.P.T.: (quando entriamo in un supermercato) solo un 5% delle nostre scelte sono prese con cognizione di causa.
- Gli addetti ai lavori che conoscono il problema alcol (medici, psicologi che operano nei SerAT) ci insegnano che assumere sostanze alcoliche anche moderatamente è comunque un comportamento a rischio. Quindi è corretto da parte di tutti i medici informati avvertire i bevitori moderati di questo rischio e suggerire un’opzione più sicura: bere acqua.
- In realtà alcuni studi indicano che la tassazione delle bevande alcoliche riduce il consumo sia nella popolazione generale che in alcuni gruppi ad alto rischio.
- Numerosi articoli sul Fatto Alimentare hanno messo in luce alcune criticità dell’uso di olio di palma soprattutto nei bambini.
- Ancor oggi anche nei paesi industrializzati nonostante si adottino le migliori misure preventive per contrastare la carie dentaria (acque addizionate di fluoro, dentifrici al fluoro…) più sono gli zuccheri semplici aggiunti/distribuiti nella dieta e maggiore è l’incidenza di carie.
Riceviamo e pubblichiamo questa nota da parte di NFI
Abbiamo preso visione dell’articolo di Antonio Pratesi relativo a NFI, pubblicato il 18 maggio e desideriamo precisare che:
– Le nostre pubblicazioni spaziano in un ambito molto più ampio di quello messo in evidenza. Alleghiamo la lista aggiornata, relativa agli ultimi anni.
– Si tratta per la maggior parte di documenti di Consenso o di Position Papers, firmati da un elevato numero di autori, in parte in rappresentanza di primarie Società Scientifiche nazionali. NFI ne coordina il lavoro e condivide con tutti gli autori, secondo un processo rigorosamente scientifico, la stesura e la revisione dei contenuti. Tutti coloro che sottoscrivono il manoscritto e figurano come autori della pubblicazione approvano la versione finale del documento prima che sia inviato ad una rivista scientifica internazionale per la possibile pubblicazione. L’invio del documento è quindi subordinato all’approvazione di tutti gli autori.
– I documenti pubblicati da NFI sono supportati da una solida e ricchissima letteratura scientifica: in genere più 100 voci citate, tratte da riviste internazionali con elevato impact factor.
– Tutti i documenti coordinati da NFI sono stati pubblicati su riviste internazionali con peer review. Ciò significa che hanno superato il vaglio di referee indipendenti che hanno valutato favorevolmente il valore scientifico dei manoscritti loro sottoposti in forma anonima.
– L’eventuale supporto di uno sponsor è sempre incondizionato (l’unica modalità considerata accettabile da NFI) ed è esplicitato in modo trasparente e completo nel testo dell’articolo.
(*) Per quanto riguarda la quota annuale di associazione a NFI, l’importo non è pari a 30.000 €, come da voi indicato, ma a poco più della metà di tale somma (17.000 €), come è facilmente deducibile sulla base dei dati già in vostro possesso, resi pubblici sul sito di uno degli associati. Le stime del bilancio di NFI complessivo da voi pubblicate sono perciò completamente errate. In ogni caso, NFI è un’associazione privata e pertanto il bilancio non è pubblico.
Andrea Poli, presidente – Nutrition Foundation of Italy – 29 maggio 2017
Alcune osservazioni a questa nota
La NFI- scrive il presidente Poli – è un’associazione privata che riceve 289 mila euro ogni anno da 17 industrie che operano nel campo dell’alimentazione. Ci chiediamo perché questa precisazione non sia stata fatta nella prima lettera giunta in redazione, e perché Poli continui a non indicare il bilancio annuale, vista l’impostazione e il rigore scientifico che caratterizzano NFI.
A questa somma, bisogna aggiungere altri versamenti per studi o consulenze come quelle di Coca-Cola che ha donato 80 mila euro nell’arco di 6 anni (oltre alla quota associativa). Se Coca-Cola non avesse reso pubbliche le donazioni probabilmente non avremmo saputo nulla di questi finanziamenti.
Poiché NFI si fa promotrice di documenti di consenso, che condizionano l’operato della classe medica e quindi la salute della popolazione, è bene si conosca l’eventuale conflitto di interessi di una fondazione che opera nel campo dell’alimentazione e della salute.
La credibilità di una persona o di una istituzione si fonda certamente sulla competenza, ma anche sulla trasparenza nell’indicare i conflitti di interessi e sull’indipendenza economica da gruppi direttamente interessati.